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Cessione del quinto, le regole per il tfr

19 giu 2020 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria Paulucci

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La cessione del trattamento di fine rapporto – che è quell’ammontare di denaro accantonato negli anni di lavoro e corrisposto al dipendente nel momento in cui il rapporto si chiude – è possibile oppure no? E, se sì, a tale cessione si applica o no il limite del quinto previsto per gli stipendi e le pensioni? Interrogativi, questi, affrontati dalla Cassazione in una recente sentenza. La Suprema Corte è stata chiamata a esprimersi sul caso di un’azienda che stava versando il quinto dello stipendio di un suo dipendente a un creditore e che, al momento della conclusione del rapporto di lavoro e della conseguente erogazione del tfr, ha versato questo importo per intero al creditore stesso. Poteva farlo? Ma, soprattutto: poteva non attenersi al tetto del quinto? Ricordiamo innanzitutto di cosa parliamo. Come abbiamo detto altre volte, la legge permette ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e ai pensionati di rimborsare un prestito cedendo al finanziatore fino a un quinto dello stipendio o della pensione: il datore di lavoro o l’ente previdenziale trattiene la rata e la versa al creditore.

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Ma mentre i pensionati sono tenuti ad attenersi rigorosamente al vincolo del quinto, i dipendenti possono richiedere un prestito di ammontare più elevato, cedendo nel caso un ulteriore quinto dello stipendio. In questo caso, oltre alla cessione del quinto il lavoratore deve stipulare con il creditore la cosiddetta “delegazione di pagamento”, alla quale il datore di lavoro può anche non aderire (mentre è tenuto ad aderire alla cessione del quinto). Tutto ciò premesso, quali regole valgono per il tfr? In una sentenza dell’aprile 2003, la Cassazione aveva già sottolineato che, “in mancanza di espliciti divieti legali in ordine alla cessione del credito per trattamento di fine rapporto, opera la regola posta dall’articolo 1260 del codice civile, che è quella della cedibilità dei crediti, salvo che si tratti di crediti di carattere strettamente personale o il loro trasferimento sia vietato dalla legge”.

Ora, è da escludersi che il credito del lavoratore in riferimento al tfr sia da considerarsi di natura strettamente personale. Inoltre, il tfr rappresenta una “forma di garanzia per l’estinzione del debito contratto dal cedente”. Il tutto tenendo conto dell’estensione al lavoro dipendente presso privati – operata dai testi legislativi 311/2004 e 80/2005 – delle norme in tema di sequestro, pignoramento e cessione di stipendi e pensioni stabilite dal decreto del presidente della Repubblica 180/1950, in origine valide solamente per il lavoro pubblico. Ed è esattamente quello del decreto presidenziale – e dei successivi testi legislativi – il perimetro nel quale si muove la recente sentenza, stabilendo che mentre la cessione di quote di stipendio o salario non deve superare il quinto dell’importo, “alla cessione del trattamento di fine rapporto dei lavoratori pubblici e privati non si applica il limite del quinto”. Ecco quindi che, se al momento delle dimissioni o del licenziamento il debito contratto con cessione del quinto dello stipendio non è ancora stato estinto, la buonuscita del lavoratore andrà a coprire la parte residuale del finanziamento non ancora rimborsato.

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