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Sweep credito al consumo, siti italiani poco trasparenti

3 dic 2012 | 2 min di lettura | Pubblicato da Valerio M.

sweep credito al consumo siti italiani poco trasparenti

Bankitalia e Antitrust sono perentorie sulla necessità di trasparenza

Credito al consumo e web: un binomio ormai indissolubile, ma che resta sempre pieno di criticità e lati oscuri. La Banca d’Italia e l’Antitrust sono perentorie: sul fronte della trasparenza, si è ancora troppo indietro quando si parla di prestiti personali qui nel nostro paese. Da palazzo Koch hanno reso noti dati relativi all’indagine condotta su base italiana nell’ambito del “Consumer Credit sweep” comunitario 2011, conclusosi proprio lo scorso mese di ottobre, ed avente ad oggetto i siti della Rete sul credito al consumo.

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Intanto però partiamo dai dati dell’indagine a livello comunitario. Allo sweep han partecipato in tutto 28 Paesi, che hanno controllato un totale di 544 siti, correggendone 193, con una percentuale di siti che allo stato attuale risultano in regola pari al 77%, a dispetto di un 30% che era risultato “a posto” con la normativa Ue nel settembre 2011. Il passo avanti dunque è significativo.   Secondo i dati resi noti riguardanti l’Italia, su 15 siti internet esaminati, 4 sono risultati completamente in linea con le prescrizioni normative, mentre in 11 casi le informazioni pubblicizzate circa prestiti personali finalizzati e non e carte di pagamento cosiddette “revolving”, hanno richiesto una serie di interventi correttivi in materia di trasparenza e correttezza delle informazioni.

Tra le criticità riscontrate, Bankitaliaha rilevato che alcuni operatori non avevano inserito negli annunci tutte le informazioni richieste dalla direttiva sull’offerta di credito, come ad esempio l’importo totale dovuto dal firmatario del contratto.  In altri casi i moduli Iebcc (Informazioni europee di base sul credito ai consumatori) non riportavano tutte le informazioni obbligatorie (vedi ad esempio il TAEG corretto). Gli interventi di “moral suasion” dell’Antitrust hanno invece riguardato l’utilizzo improprio, nella offerta pubblicitaria dei prodotti, della parola “risparmio”, riferita ad esempio alla sostituzione di un piano di rimborso che può comportare una flessione dell’importo delle singole rate, ma non una riduzione del costo del debito totale.

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