Precari: per loro il prestito non è impossibile

Ce lo ha detto di recente un’analisi realizzata da Facile.it e Prestiti.it (link: https://www.prestiti.it/news/i-precari-chiedono-sempre-meno-prestiti.html): i lavoratori con contratto a tempo determinato bussano sempre meno alla porta degli istituti di credito. La percentuale di lavoratori precari che hanno cercato di ottenere un prestito personale, stando alle richieste presentate attraverso i due portali, è infatti diminuita negli ultimi due anni: dallo 0,31% del 2016 allo 0,17% del 2017. Giù anche gli importi per i quali si è fatta domanda: dagli 8.557 euro (con restituzione in 58 rate) agli 8.247 euro (per un corrispettivo di 51 rate) del 2017. Perché? Per la cautela delle banche e delle finanziarie, sicuramente: i prestiti si danno più volentieri a chi può offrire le prove più convincenti sulla sua solidità economica e finanziaria e, quindi, sulla sua affidabilità creditizia. Ma anche per la prudenza dei “determinati” che, siccome “del doman non v’è certezza”, evitano fino a che possibile di indebitarsi. Non si pensi, però, che non esistano soluzioni creditizie per chi non ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

 

Piccolo passo indietro. Si diceva, ed è così, che per gli istituti di credito l’affidabilità del cliente è tutto. Solo che va provata. Come? Innanzitutto, dando prova di percepire un reddito mensile e quindi di poter contare su un’entrata regolare. Il non plus ultra, dal punto di vista di una banca o di una finanziaria, è la busta paga o il cedolino della pensione. Ma anche gli autonomi, i collaboratori e i liberi professionisti possono “giocarsela” presentando la loro dichiarazione dei redditi. E i dipendenti a termine? Una possibile soluzione, per loro, è la seguente: chiedere un prestito che preveda un piano di rimborso di breve durata, compatibile con quella del contratto di lavoro. Ciò, ovviamente, condiziona l’ammontare che è ragionevole richiedere: difficilmente, dovendo restituire il prestito con gli interessi entro, per esempio, 12 mesi, potremmo chiedere più di due o tremila euro. Ma almeno è un punto di partenza. Per lo stesso principio, una seconda soluzione potrebbe essere la cessione del quinto: questa opzione, un tempo privilegio esclusivo dei dipendenti pubblici a tempo indeterminato, si è progressivamente estesa ai privati e poi ai “tempi determinati”.

 

La cessione del quinto dello stipendio, lo ricordiamo, poggia sulla triangolazione lavoratore-azienda-creditore. Ovvero: il lavoratore chiede il prestito alla banca la quale, ottenuto il nullaosta dell’azienda, lo eroga; starà poi all’azienda versare le rate alla banca, trattenendole dalla busta paga del lavoratore. Il “quinto” cui fa riferimento la cessione è la quota massima di stipendio che è possibile destinare al rimborso: la rata, cioè, non può superare il quinto del totale della paga mensile. L’altro vincolo, per i lavoratori a termine, è rappresentato anche in questo caso dalla durata: l’estinzione tramite rimborso completo del finanziamento deve avvenire entro la scadenza del contratto di lavoro. Opzione numero tre, il ricorso a un garante. Ovvero, a una persona con una posizione economica e finanziaria stabile che sia in grado di intervenire in caso di difficoltà, da parte del debitore, a versare le rate del rimborso.

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Il profilo dell'autore

Credito e Consumi
blog di Maria Paulucci

Nata a Rieti, gli studi universitari a Roma, a Milano dal 2006. Dal 2007 al 2011 ha lavorato in Class CNBC, canale televisivo di economia e finanza del gruppo Class Editori. Nell'agosto del 2011 si è unita alla squadra di Blue Financial Communication. A dicembre 2017 è iniziata la sua esperienza in AdviseOnly.

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