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Il nodo della fideiussione

2 mag 2025 | 4 min di lettura | Pubblicato da Maria P.

Ricordi cos’è la fideiussione? Si tratta, come spiega la Banca d’Italia nella sua guida “Il credito ai consumatori in parole semplici”, dell’impegno a garantire personalmente al creditore il pagamento del debito di una terza persona, che è il debitore principale. Se necessario, il creditore può rivalersi sull’intero patrimonio del garante.

Il portale DirittoBancario.it ha recentemente portato all’attenzione la sentenza del 13 marzo 2025 (Causa C-337/23) con la quale la Corte di Giustizia UE ha fornito una serie di precisazioni in merito alla qualificazione di abusività delle clausole di un contratto di credito che impongano a un consumatore la conclusione di una fideiussione contestualmente al contratto di concessione del credito stesso.

Vediamo cosa emerge da questa sentenza.

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Cos’ha detto la Corte?

La vicenda al centro della sentenza aveva per oggetto la stipula di contratti di credito al consumo associati all’obbligo di sottoscrizione di contratti di fideiussione. Una garanzia che, in questo caso, veniva fornita da un soggetto selezionato dalla finanziaria creditrice.

In questo contesto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sull’interpretazione di alcune norme delle direttive 93/13/CEE, 2005/29/CE e 2008/48/CE, riguardanti, rispettivamente:

  • le clausole abusive nei contratti con i consumatori;
  • le pratiche commerciali sleali fra aziende e consumatori;
  • i contratti di credito al consumo.

Le precisazioni della Corte

La Corte ha stabilito che l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio va interpretato nel senso che:

  • è possibile valutare il carattere potenzialmente abusivo delle clausole di un contratto di fideiussione se il debitore ha concluso tale contratto in concomitanza con il contratto di credito e per conformarsi a un’obbligazione prevista dal contratto stesso. E se il fideiussore è una società figlia del creditore o una persona scelta da quest’ultimo.

Il punto 1, lettere i), j) e m), dell’allegato della direttiva 93/13 va invece interpretato così:

  • una clausola con la quale un consumatore si impegna, nell’ambito di un contratto di credito, a concludere un contratto di fideiussione con un fideiussore scelto dal creditore, senza essere a conoscenza, al momento della conclusione del contratto di credito, dell’identità del fideiussore e del contenuto delle clausole di tale contratto di fideiussione, non rientra in automatico fra le clausole abusive di cui all’allegato della direttiva del 1993.

L’articolo 8 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, in combinato disposto con l’articolo 5, paragrafo 5, e con l’allegato I di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che:

  • l’inserimento nei contratti di credito di una clausola con la quale il consumatore deve concludere un contratto di fideiussione con una persona scelta dal creditore non costituisce una pratica commerciale aggressiva in tutte le circostanze.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 va letto nel senso che:

  • il giudice nazionale non può escludere d’ufficio l’applicazione di una clausola del contratto di credito al consumo concluso tra consumatore e professionista interessato se non è convinto che questa clausola vada qualificata come “abusiva”, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva.

Ma attenzione: l’esistenza di un dubbio circa il fatto che il consumatore abbia potuto accettare questa clausola a seguito di una pratica commerciale sleale può costituire un elemento, tra gli altri, che è possibile prendere in considerazione ai fini della valutazione del carattere potenzialmente abusivo della clausola in questione.

Altre indicazioni di interesse

Non rientra nel perimetro del cosiddetto “contratto di credito collegato” un contratto di credito la cui conclusione sia connessa unicamente alla conclusione di un contratto di fideiussione con un terzo remunerato per questo.

I costi relativi a un contratto di fideiussione la cui conclusione è imposta al consumatore da una clausola di un contratto di credito sottoscritto da quest’ultimo rientrano nella nozione di “costo totale del credito per il consumatore” e, di conseguenza, in quella di Tasso annuo effettivo globale (Taeg).

Se un contratto di credito al consumo non menziona un Taeg comprendente tutti i costi previsti all’articolo 3, lettera g), della direttiva 2008/48, questo contratto è da considerarsi esente da interessi e da spese: il suo annullamento comporta perciò la restituzione, da parte del consumatore, solo e soltanto del capitale.

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