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Dazi Ue-Usa, impatti "gestibili" sul settore bancario italiano

31 lug 2025 | 4 min di lettura

torrette soldi

"Le banche italiane affrontano rischi relativamente bassi per la qualità degli attivi derivanti dai nuovi dazi statunitensi, sebbene gli effetti di secondo livello potrebbero influire sulla redditività". Lo conferma Alessandro Boratti, lead analyst di Scope Ratings secondo cui "l'accordo commerciale UE-Usa avrà un impatto limitato sui profili creditizi delle banche italiane, sebbene possa potenzialmente avere ripercussioni significative su alcuni settori dell'economia italiana".  Parliamo, dunque, soprattutto di mutui e prestiti personali.

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Dazi punto di svolta

Secondo il ministero degli Affari Esteri italiano, si legge nell'analisi di Scope Ratings elaborata dagli analisti del Financial Institutions Team, le esportazioni verso gli Stati Uniti ammontavano a 64,7 miliardi di euro nel 2024, pari a circa il 3% del pil italiano. Oltre due terzi erano rappresentati da macchinari (20%), prodotti farmaceutici (16%), alimenti e bevande (12%), trasporti (incluso il settore automobilistico, 12%), prodotti chimici ed elettronici (4% ciascuno). I prodotti farmaceutici sono stati momentaneamente esclusi dall'accordo commerciale, il che implica che potrebbe essere applicata un'imposta più elevata, come lasciato intendere dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Il fattore prestiti

"L'esposizione delle grandi banche italiane ai settori più vulnerabili alle imposte statunitensi è limitata", evidenzia Scope Ratings. Ciò riflette il grado di diversificazione settoriale dei loro portafogli di prestiti alle imprese. Infatti, i prestiti a questi settori rappresentano solo tra il 6% e il 10% dei prestiti lordi alla clientela per le sette banche del campione analizzato da Scope Ratings (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, Banca Monte dei Paschi di Siena, Mediobanca, BPER Banca, Credito Emiliano). Secondo la ricerca "è irrealistico supporre che questi prestiti siano interamente concessi agli esportatori direttamente interessati dai nuovi dazi statunitensi, quindi i rischi sono contenuti".

Rallentamento economico?

I dazi, prosegue l'analisi, potrebbero indurre un rallentamento economico, "e questo potrebbe portare a un più ampio deterioramento della qualità del credito in vari segmenti dell'economia". Scope stima che l'Italia potrebbe affrontare una perdita di produzione a breve termine dello 0,4% aggiungendo pressione a una crescita già modesta. Oltre alle preoccupazioni sulla qualità degli attivi, il principale svantaggio per le banche italiane risiede nel potenziale impatto sulla generazione di ricavi: le sfide alla crescita economica italiana "potrebbero ridurre la già debole domanda di prestiti, che avrebbero un impatto negativo sul margine di interesse netto delle banche". 

Crescita dei prestiti

La crescita dei prestiti in Italia è una delle più basse dell'area dell'euro, secondo i dati della Bce: a maggio 2025, la crescita annua dei prestiti a famiglie e imprese in Italia era quasi nulla, rispetto a una media di circa il 2% nell'area dell'euro. Una prospettiva economica più debole in Italia e in Europa, unita a un'inflazione più bassa, poiché paesi come la Cina si rivolgono all'UE per compensare le perdite commerciali con gli Stati Uniti, potrebbe indurre la BCE a tagliare i tassi più del previsto. 

La  Bce

Attualmente Scope prevede che il tasso sui depositi della BCE raggiungerà l'1,75% entro la fine del 2026, dall'attuale 2%. "Uno scenario in cui la BCE taglia i tassi più o più rapidamente di quanto ipotizzato - aggiunge Scope - potrebbe erodere i margini delle banche e annullare parte dei recenti guadagni di redditività di cui le banche italiane hanno beneficiato grazie all'ampliamento dei margini di interesse.

Le incertezze

"Riteniamo – sottolinea Scope – che il nuovo accordo commerciale ridurrà l'incertezza, ma la mancanza di visibilità sulla politica commerciale statunitense potrebbe innescare volatilità del mercato. Ciò avrebbe effetti contrastanti sul settore bancario italiano. Fornirebbe un incremento dei ricavi agli istituti che operano su larga scala sui mercati dei capitali (ad esempio UniCredit), ma avrebbe un impatto negativo sulla vendita di prodotti di asset management e wealth management, riducendo così le commissioni legate alla performance". A titolo di esempio, – spiega Scope – a maggio 2025 si è registrato un deflusso netto di asset in gestione pari a 2,4 miliardi di euro, secondo Assogestioni, che all'epoca ha posto fine a nove mesi di crescita.

Banche italiane ben posizionate

"Le banche italiane – rileva Scope – sono, tuttavia, ben posizionate per affrontare queste sfide. Dal punto di vista del rischio di credito, i loro bilanci sono i più solidi dalla crisi finanziaria globale, supportati da anni di de-risking e da una migliore gestione del rischio di credito". A marzo 2025, il rapporto tra crediti deteriorati lordi e impieghi a breve termine (NPL) del settore si attestava al 2,8%, in calo rispetto al 17,1%. Dall'inizio della pandemia, le banche hanno accumulato ingenti accantonamenti per perdite su crediti non assegnati, la maggior parte dei quali sono ancora intatti e forniscono un cuscinetto contro un deterioramento imprevisto della qualità dei prestiti. UniCredit (A/Stabile), Intesa (A/Stabile) e Banco BPM detengono sovrapposizioni pari a rispettivamente circa 40 poin basis, 20 pb e 15 pb di prestiti alla clientela. Forse ancora più importante, la redditività delle banche italiane è più che raddoppiata negli ultimi tre anni.

I rischi

I rendimenti delle attività ponderate per il rischio per le sette banche del campione analizzato nella ricerca sono stati in media del 3,1% nel 2024, in aumento rispetto all'1,2% del 2021, quindi, evidenzia Scope, "sebbene i rischi siano orientati al ribasso, la solida base di partenza significa che le banche italiane possono sopportare una certa pressione sui ricavi prima di compromettere materialmente la loro capacità di assorbire le perdite su crediti attraverso la redditività operativa ordinaria".

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