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Come si calcola il merito creditizio

25 mar 2013 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria Paulucci

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Innanzitutto, qualche dato. A febbraio, la flessione dei prestiti da parte delle banche italiane ha frenato un po’. Ma il calo c’è stato, eccome. Così, almeno, risulta dal rapporto mensile dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, secondo cui i finanziamenti sono diminuiti dell’1,2% contro l’1,5% del mese precedente, per un totale di 1.917 miliardi di euro. E quelli a famiglie e imprese sono scesi del 2,8%, esattamente come a gennaio. Le sofferenze nette - quei crediti bancari diventati difficilmente esigibili e per i quali sono già partite le relative azioni giudiziarie - si sono attestate a 63,9 miliardi.

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In genere, per limitare le sofferenze e i casi d’insolvenza, le banche - che fanno da intermediario tra il risparmio accumulato da una parte e le richieste di credito dall’altra - effettuano un’attentissima analisi sull’affidabilità del cliente. Lo sottopongono cioè a vero e proprio esame, per stabilire se merita davvero fiducia. In gergo, questa si chiama valutazione del merito creditizio. Consiste appunto in una serie di ricerche condotte per classificare il cliente dandogli un preciso punteggio. Obiettivo, capire fino a che punto riuscirà a sostenere il prestito e se questo gli permetterà effettivamente di migliorare la sua situazione economica e patrimoniale.

Ogni volta che un consumatore presenta domanda per ottenere un finanziamento, dunque, l’istituto di credito fa un’indagine per fare luce sui motivi alla base della sua richiesta, sulle sue eventuali pendenze - per esempio, protesti o precedenti penali - e sulla sua situazione in quanto a reddito. Terminata questa fase, la banca decide se concedere il finanziamento oppure no. In caso di risposta affermativa, si apre la trattativa per individuare la formula più adatta al tipo di cliente e per mettere a punto il contratto, con tanto di clausole, da proporgli.

Ma che cosa considera la banca per valutare l’affidabilità di una persona o di una famiglia? Sostanzialmente, quattro voci: il patrimonio, le garanzie disponibili, la presenza o meno di garanti e il reddito. Per patrimonio s’intendono i beni reali: fabbricati, automobili, case, quadri, giusto per citarne qualcuno. Il reddito, invece, è lo stipendio oppure una rendita, dunque un’entrata stabile e sicura. Per evitare le insolvenze, la banca ha a disposizione diversi strumenti di tutela: può ricorrere a garanzie sui beni, come il pegno o l’ipoteca, o in alternativa a garanzie personali, come le fideiussioni o gli avalli.

Le differenze? Il pegno riguarda i beni mobili, mentre l’ipoteca tocca i beni immobili come, per esempio, l’abitazione. Quanto alle garanzie personali, la fideiussione è un contratto in cui il cosiddetto fideiussore garantisce l’obbligo del debitore verso il creditore. In altre parole, risponde nei confronti del secondo con i suoi beni per la copertura del credito garantito. Così, se il debitore è insolvente, il creditore può chiedere al fideiussore di adempiere all’obbligazione. La quale, volendo, può essere assicurata da più fideiussioni. L’avallo è simile, essendo una dichiarazione di garanzia personale con la quale ci si assume l’impegno di pagare un assegno o una cambiale se il debitore alla fine non versa quello che deve.

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