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Novità per la mediazione dei prestiti

20 feb 2017 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.

L’avvocato? È contrario alla normativa europea. O meglio: nella mediazione preventiva obbligatoria per le controversie, anche nel settore dei prestiti, regolata dal decreto legislativo 28/2010, non è necessaria la presenza di un legale difensore, come invece prevede il citato decreto legislativo nel nostro Paese. Lo ha stabilito l’avvocatura generale della Corte di giustizia europea esprimendosi sulla vicenda connessa a un contratto di apertura di credito in conto corrente a una banca italiana contestato da due consumatori. A riferire il caso e le conclusioni dell’avvocatura generale è l’agenzia di stampa Ansa, che riporta come l’avvocatura generale abbia evidenziato che l’apposita direttiva Ue del 2013 “esclude espressamente” la possibilità che gli Stati obblighino le parti a farsi assistere da un legale nell’ambito della mediazione di una lite fra un professionista e un consumatore. Cosa, questa, che - come visto - si applica anche al settore bancario e, nello specifico, al mercato dei prestiti e dei finanziamenti.

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Ecco allora che, nel punto in cui prescrive l’assistenza di un avvocato, “la normativa italiana è incompatibile con il diritto dell’Unione”. Non solo: la direttiva europea sancisce anche la “libertà totale” di ognuna delle parti - o per lo meno del consumatore - di ritirarsi dalla mediazione per ragioni anche semplicemente soggettive, per esempio perché non è soddisfatto di come sta andando avanti la procedura. Da qui, il secondo punto di incompatibilità tra la legge italiana e la normativa europea. Il testo nazionale, infatti, associa conseguenze negative alla scelta di ritirarsi dalla mediazione “per motivi puramente soggettivi”: in altre parole, chi sceglie di fare un passo indietro ha l’obbligo di pagare le spese. Riscontrato che la legge italiana stride con la direttiva europea, cosa succede? E, soprattutto, cosa vuol dire questo per i consumatori? Si profila all’orizzonte un cambiamento non di poco conto: il diritto comunitario, infatti, prevale sulla norma nazionale che risulta in contrasto con esso, e ciò vale sia per le leggi precedenti che per quelle successive all’entrata in vigore della direttiva europea.

In altre parole, esiste una gerarchia che vede la normativa europea collocarsi a un grado più alto rispetto a quella nazionale. E quando una norma italiana stride con quella comunitaria, regola vuole che la prima non venga applicata o che sia disapplicata: al suo posto, fa fede la legge europea. E non è solo teoria: in più di un’occasione, la giurisprudenza europea ha stabilito che “il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria”. Ma il giudice è solo una parte del tutto: il principio della preminenza del diritto comunitario, spiegano gli esperti, vincola lo Stato membro, a tutti i livelli, a conferire completa efficacia alla normativa comunitaria disapplicando, in caso di conflitto, quella nazionale. D’ora in avanti, quindi, per i consumatori coinvolti in casi di mediazione come quello arrivato alla Corte di giustizia europea, questo significa due cose: non serve l’avvocato e non devono pagare le spese se si ritirano dalla mediazione.

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